dsm firmenich-PostNL, Romain Bardet su Tadej Pogačar: "È di un'altra categoria, forse prima non sapeva allenarsi e adesso ha imparato a farlo"

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Romain Bardet è uno dei “saggi” del ciclismo attuale. Il francese, che chiuderà la sua carriera su strada in pratica a metà 2025, è uno che ne ha viste tante: il suo percorso in gruppo, per quel che riguarda il professionismo, è iniziato nel 2012 e da allora ha affrontato ben 17 corse a tappe. La grande vittoria gli è sempre mancata, ma negli anni è sempre stato protagonista, tanto da chiudere per 8 volte fra i primi 10 dei suddetti Grandi Giri. Negli ultimi anni, però, il francese, da poco 34enne, si è spesso trovato nella condizione di sentirsi “superato” dagli esponenti della nuova generazione del ciclismo mondiale. 

Bardet ripercorre gli ultimi anni della sua carriera, guardando in particolare al Tour de France, sempre inseguito e mai conquistato: “Nel 2018 ho avuto una giornata sbagliata, ma non so dire se sia stato quello il momento in cui la vittoria della Maglia Gialla sia diventata inaccessibile per me – le parole del francese riportate da Eurosport – Nel 2019, poi, ho caricato di più durante la preparazione, ma non ha funzionato. Poi, quando trascorri due stagioni puntando tutto sul Tour e rimanendo sotto le attese, è dura tornar su moralmente. Il 2020? Era iniziato anche bene, ma quello è stato l’anno dell’avvento della nuova generazione”.

Il 2020, ovvero l’anno in cui è iniziato il “nuovo ciclismo”… “Sì, credo sia ben documentato dai dati. Se vuoi parlarne, però, è dura trovare il giusto equilibrio fra la vecchia gloria che cerca scuse per non essere più con i primissimi e la coscienza di trovarsi nel mezzo di un fenomeno di accelerazione globale del ciclismo. Nel 2020 c’è stata quella tappa sui Pirenei, con il Col de Marie-Blanque (vinse Tadej Pogačar, davanti a Primož Roglič ndr). Quello è stato il primo giorno in cui mi sono sentito surclassato in montagna. Non sto dicendo che non sono mai stato staccato da qualcuno prima di allora, mi era successo tante volte. Ma quel giorno stavo bene e ho davvero sentito che c’era una netta differenza fra me e i migliori. Ho ancora il ricordo del momento in cui sono partiti, andavano fortissimo. Per dire, avevo provato sulla mia pelle le accelerazioni di Chris Froome, ma si parlava di cose meno impressionanti”.

Quel Tour lo vinse proprio Pogačar, che da allora ha vinto quasi tutto: “Il suo 2024? Non so cosa dire – il commento di Bardet, che la scorsa primavera ha chiuso secondo la Liegi-Bastogne-Liegi,primo inseguitore dello sloveno –  Onestamente, non siamo nella stessa categoria. Sono sorpreso, ma allo stesso tempo penso che abbia messo insieme tutto l’immenso potenziale che avevamo già in passato. Evidentemente, prima non sapeva allenarsi. Adesso lo sa. È così superiore che è difficile da spiegare. Non voglio perdere tempo nel cercare spiegazioni. Pur essendo un suo contemporaneo e gareggiando insieme a lui, ho la sensazione di non essere davvero un suo avversario”.

È vero che qualche volta si parte sapendo già che vince lui? “Sì, eccome. È successo diverse volte. Ricordo la Strade Bianche 2024, il Gp Montréal 2024 e il Mondiale di Zurigo. Al via ero fermamente convinto che avrebbe vinto Pogačar, se non avesse avuto incidenti o problemi meccanici. Era già scritto. Non ho mai provato questa sensazione. C’era sempre qualche vulnerabilità da cercare nei grandi favoriti, ad esempio nella squadra. Quest’anno, invece, sapevamo che se la UAE si metteva in testa a tirare, lui poi avrebbe vinto la tappa o la corsa. Nel 2024 sarà successo almeno 10 volte”.

Prima del dominio di Pogačar, nel 2023 c’era stato quello della Jumbo-Visma: “Qualche corridore è un po’ annoiato da questa situazione e lo capisco – argomenta Bardet – In fin dei conti, quando sei il capitano di una squadra, 6-7 corridori lavorano per te e tu porti a casa un settimo posto, ti fai delle domande. Ma questo è il percorso che il ciclismo sta seguendo in questi anni, ovvero aggregare il talento e i fondi più rilevanti in un pugno di squadre. Penso che si stia andando verso un ciclismo in cui l’interesse per la competizione sia enormemente ridotto“.


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